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Gentili amici,
è con piacere che comincio da oggi a collaborare a questo sito occupandomi della rubrica fiscale. Nell’ottica dello spirito di Circolo che ci anima si è ritenuto di svolgere questo,
lasciatemelo dire, ingrato compito per essere d’aiuto a quanti di noi si trovino ad avere a che fare coll’amministrazione fiscale italiana.
In questo nostro primo incontro mi occuperò di un tema d’attualità sottopostomi da diversi amici “svizzeri”, riguardo al trattamento fiscale degli immobili all’estero di proprietà di cittadini svizzeri residenti in Italia; nel proseguo di questa mia collaborazione sarò lieto di rispondere con cadenza bisettimanale alle domande che vorrete inviare al Circolo per sottopormi quesiti che possano avere rilevanza per la nostra comunità.

Il tema è di estrema attualità anche alla luce della nuova Imposta sugli immobili e le attività finanziarie detenute all’estero il cui versamento scadrà il prossimo 18 giugno.

Innanzi tutto bisogna considerare che il sistema impositivo attualmente vigente in Italia, in relazione all’imposta sul reddito delle persone fisiche, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del TUIR (è il Testo Unico Imposte sul Reddito la legge italiana che regola l’imposizione fiscale) stabilisce che i soggetti residenti nel territorio dello Stato vengono tassati per tutti i redditi quale che sia il luogo di produzione (c.d. worldwide taxation principle o principio di tassazione del reddito mondiale) mentre nei confronti dei non residenti l’imposta è applicabile limitatamente ai redditi prodotti in Italia (criterio di collegamento reale).
Nella sua pur semplice formulazione l’art. 3 citato pone non pochi problemi per quanto riguarda la esatta individuazione delle condizioni in base alle quali un soggetto possa considerarsi residente o non residente nonché un reddito possa considerarsi o meno prodotto nel territorio dello stato. A questo proposito l’art. 2 del TUIR prevede che un soggetto si consideri residente in Italia quando ricorra uno dei seguenti criteri:
– iscrizione per la maggior parte del periodo d’imposta nella anagrafe comunale della popolazione residente;
– domicilio (e cioè la sede principale delle relazioni morali e materiali e degli affari di una persona fisica ex art. 43, comma 1, cod. civ.) nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo d’imposta;
– residenza (e cioè il luogo di dimora abituale della persona ex art. 42, comma 2, cod. civ.) nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo d’imposta.
Le norme richiamate consentono di ritenere che, ai fini dell’acquisto della qualifica di residente ai fini fiscali, non sia richiesta la continuità della permanenza nel territorio dello Stato ma sia sufficiente anche una presenza frazionata purché complessivamente tale da rappresentare la maggior parte del periodo d’imposta (quindi 183 giorni all’anno). L’adozione da parte del legislatore italiano del criterio di tassazione del reddito mondiale comporta per il residente la necessità di sottoporre a tassazione in Italia tutti i redditi compresi gli immobili di cui ha il possesso o altro diritto reale anche se tali immobili sono situati all’estero.

Circoscrivendo l’analisi alla tematica della quantificazione del reddito dell’immobile situato all’estero, la complessità deriva dalla necessità di tener conto sia di norme di diritto estero (per la quantificazione del reddito stesso e per la applicazione dell’imposta estera) sia di norme di diritto internazionale (convenzionale) sia di norme di diritto interno (che danno luogo ad obblighi dichiarativi, di calcolo e versamento d’imposta ed eventualmente di credito d’imposta estera).
Mentre il possesso di un immobile nel territorio dello Stato italiano produce redditi inquadrati nella categoria dei “redditi fondiari”, il possesso di immobili all’estero viene ricondotto ad una diversa categoria reddituale, quella dei “redditi diversi” a norma dell’art. 67 del TUIR, comma 1, lettera f). Ai fini della quantificazione del relativo reddito l’art. 70 del TUIR comma 2, dispone che i redditi dei terreni e fabbricati situati all’estero concorrono alla formazione del reddito complessivo per:
– l’ammontare netto risultante dalla valutazione effettuata dallo Stato estero per il corrispondente periodo d’imposta;
– l’ammontare percepito, ridotto del 15%, se il fabbricato non è soggetto ad imposte nello Stato estero.
Sulla base della disposizione indicata, si può osservare come gli obblighi fiscali a carico del contribuente variano a seconda che l’immobile sia produttivo di reddito (fattispecie che si realizza quando il bene è locato o soggetto a tassazione nel Paese in cui è situato) oppure non sia produttivo di reddito.
Relativamente agli immobili non produttivi di reddito, intendendo per tali quelli non concessi in locazione né sottoposti a tassazione nel Paese di ubicazione, si osserva che non deve essere dichiarato alcun reddito.
Quanto agli immobili produttivi di reddito, occorrerà distinguere le seguenti ipotesi:
– nel caso in cui l’immobile è locato e il reddito derivante dalla locazione è assoggettato a imposta nello Stato estero, occorrerà dichiarare in Italia lo stesso reddito dichiarato all’estero;
– nel caso in cui l’immobile è locato e il reddito derivante dalla locazione non è assoggettato a imposta nello Stato estero, occorrerà indicare il canone annuale percepito al netto della riduzione forfetaria del 15%;
– nel caso, infine, in cui l’immobile viene tassato nel Paese estero in base alla rendita catastale o sulla base di criteri similari, l’importo da dichiarare coincide con la valutazione netta dell’immobile effettuata nello Stato estero.
Con riferimento alla vendita dell’immobile, l’art. 67 comma 1, lettera b) del TUIR dispone che sono imponibili in Italia le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso dei beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, con esclusione di quelli acquisiti per successione o donazione nonché delle cessioni aventi ad oggetto la prima casa effettivamente adibita ad abitazione. Poiché l’articolo citato non specifica che l’immobile ceduto deve trovarsi esclusivamente nel territorio dello Stato, ne discende che la norma opera anche qualora l’immobile ceduto è situato all’estero. Parimenti nel caso di una vendita di un terreno edificabile, la plusvalenza andrà tassata anche in Italia qualunque sia la durata del possesso, alternativamente o a tassazione separata (l’aliquota media degli ultimi due anni d’imposta) o con imposta sostitutiva al 20%.

Inoltre, a far data dall’anno d’imposta 2011, bisognerà considerare anche la nuova imposta patrimoniale IVIE (imposta sul valore degli immobili detenuti all’estero), infatti tale nuovo prelievo riguarda le persone fisiche fiscalmente residenti in Italia proprietari di immobili all’estero o titolari di altro diritto reale sugli stessi (anche nuda proprietà) e quindi anche cittadini stranieri fiscalmente residenti in Italia.

Nel caso in cui un residente in Italia, quindi, possieda uno o più immobili situati all’estero, si pongono problemi di coordinamento di norme provenienti da ordinamenti di Stati diversi. Infatti gli Stati più avanzati economicamente, consapevoli dell’esistenza di tale problema, hanno cercato di trovare un accordo per stabilire la competenza impositiva e soprattutto per porre rimedio al fenomeno della doppia imposizione internazionale che, in caso di contemporaneo prelievo di imposta, si verifica a danno del contribuente. Lo strumento convenzionale tipico per la soluzione di tali questioni è individuato nelle convenzioni contro le doppie imposizioni, per la cui sottoscrizione si utilizza in generale un modello elaborato in sede OCSE, al quale sono poi apportate le modifiche richieste dai singoli casi. Per i rapporti fra la Svizzera e l’Italia si fa riferimento alla Convenzione firmata a Roma il 9 marzo 1976 e ratificata con legge n. 943 del 23 dicembre 1978. In vigore dal 27 marzo 1979
L’art. 6 della citata convenzione prevede che “i redditi derivanti da beni immobili […] sono imponibili nello Stato contraente in cui detti beni sono situati”. Il principio risolutivo, pertanto, viene in via generale individuato nella “tassazione in base al luogo di ubicazione dei beni” (fonte di produzione del reddito) e a tale principio fanno riferimento la quasi totalità delle convenzioni sottoscritte dall’Italia. Se ad una prima lettura la disposizione appare chiara nell’individuare un solo Stato competente per l’attuazione del prelievo fiscale, l’interpretazione rigorosa che della stessa viene fatta in modo pressoché unanime porta a precisare che tuttavia non può dirsi escluso il potere impositivo anche dell’altro Stato. La formulazione della norma, infatti, non afferma nessun principio di esclusività di potere per uno Stato e di rinuncia da parte dell’altro Stato, così come invece si ricava dall’utilizzo di formule del tipo “i redditi sono imponibili soltanto nello Stato in cui…”. L’evidente conseguenza di una tale impostazione porta ad ammettere che, pur in presenza di una convenzione contro la doppia imposizione, nei confronti dei redditi immobiliari esiste generalmente un potere impositivo concorrente tra gli Stati interessati (ovverosia lo Stato dove si trova l’immobile e lo Stato in cui risiede il contribuente). Il citato art. 6, a ben vedere, si limita a disporre la tassazione del reddito degli immobili nello Stato in cui sono ubicati senza mai escludere la loro tassazione nel luogo di residenza del possessore se diverso da quello di ubicazione. Alla stessa conclusione, ovverosia alla previsione di un regime di tassazione di tipo concorrente, si perviene anche per quanto riguarda le altre tipologie di reddito proveniente da immobili posseduti all’estero, quali l’imposta patrimoniale IVIE e l’eventuale plusvalenza emergente dalla vendita dello stesso.

Ciò posto, la convenzione internazionale assume il suo valore più determinante nella previsione degli strumenti volti ad eliminare la duplicazione d’imposta che, come già detto, può comunque verificarsi. Le concrete modalità di eliminazione della doppia imposizione sono disciplinate dall’art. 23 della stessa Convenzione. Posto che le convenzioni internazionali stipulate dall’Italia in massima parte prevedono l’utilizzo del credito d’imposta ma non contemplano misure operative, si ritiene che per le concrete modalità di funzionamento dovrà farsi riferimento alle disposizioni di diritto interno ed in particolare all’art. 165 del TUIR, il quale stabilisce che le imposte pagate nello Stato estero “a titolo definitivo […] sono ammesse in detrazione dall’imposta netta fino alla concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo al lordo delle perdite di precedenti periodi di imposta ammesse in diminuzione […] La detrazione […] deve essere calcolata nella dichiarazione relativa al periodo di imposta cui appartiene il reddito prodotto all’estero al quale si riferisce l’imposta […] a condizione che il pagamento a titolo definitivo avvenga prima della sua presentazione. […] La detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata […]”.

A titolo di completezza si segnala che l’omessa o infedele dichiarazione di un reddito prodotto all’estero è punita dal 120% al 240% delle imposte dovute aumentate di un terzo (art. 1 comma 3 del D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 471).

Un altro aspetto che ritengo particolarmente rilevante riguarda la normativa sul cosiddetto “monitoraggio fiscale” (collegata inequivocabilmente con la tassazione dei redditi di fonte estera) che ha origine nel 1990 con l’adozione del D.L. 28 giugno 1990, n. 167 (convertito con modificazioni in L. 4 agosto 1990, n. 227 e successivamente ulteriormente modificato dal D.Lgs. 21 novembre 1997 n. 461) dal titolo “Rilevazione a fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori”.
I contribuenti residenti in Italia interessati alla normativa in questione sono le persone fisiche, le società semplici ed i soggetti a queste equiparate nonché gli enti non commerciali. Tali soggetti, qualora al termine del periodo di imposta detengano investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fonte estera imponibili in Italia, devono indicarli, anche se non sono intervenute movimentazioni, nella dichiarazione dei redditi, anche in caso di esonero dalla presentazione della stessa, su apposito modulo RW allegato alla dichiarazione dei redditi.
L’obbligo di dichiarazione non sussiste, comunque, se l’ammontare complessivo degli investimenti e delle attività al termine del periodo di imposta, ovvero l’ammontare complessivo dei movimenti effettuato nel corso dell’anno, non supera l’importo di € 10.000. Nell’ammontare complessivo vanno computati tutti i trasferimenti, quindi sia quelli verso l’estero che quelli dall’estero. Tali obblighi coinvolgono gli investimenti effettuati anche all’interno della UE.
E’ importante precisare che, come chiarito dalle istruzioni del modello Unico alla compilazione del quadro RW, l’obbligo di dichiarazione in questi casi sussiste qualunque sia l’origine delle attività finanziarie e degli investimenti detenuti all’estero (ad esempio donazione o successione) e qualunque sia la modalità con cui sono stati effettuati i trasferimenti che hanno interessato tali attività (attraverso intermediari residenti, non residenti o in forma diretta tramite trasporto al seguito).
Sulla base di quanto esposto, l’obbligo di compilazione e presentazione del modulo RW (al limite anche solo di questo) sussiste:
– in ogni caso e per il valore dell’immobile (se superiore ad e 10.000), quando l’immobile è soggetto nello Stato estero ad imposte sui redditi;
– qualora nello Stato estero non siano applicate imposte sui redditi, quando l’immobile è idoneo a produrre redditi tassati in Italia, come nel caso della locazione ovvero della vendita dello stesso con emersione di plusvalenza, secondo le già citate norme di cui rispettivamente all’art. 70, comma 2, e all’art. 67, comma 1, lettere a) e b) del TUIR.
Se l’immobile nello Stato estero non è soggetto ad imposte e non è locato (dunque non produttivo di redditi tassabili in Italia), se ne deduce che non sussiste alcun obbligo di presentazione del modulo RW. Nel caso in cui dall’utilizzo dell’immobile sito all’estero si conseguano redditi tassabili in Italia, all’obbligo di presentazione del quadro RW si affianca, evidentemente, l’obbligo di dichiarazione del reddito stesso nel quadro QL dei “redditi diversi”.
I commi 4 e 5 dell’art. 5 del DL 167/1990 dispongono che la violazione degli obblighi previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 4 è punita con la sanzione amministrativa dal 5% al 25% dell’ammontare degli importi non dichiarati, nonché con la confisca di beni di corrispondente valore.

Dott. Goffredo RUSSO WÄLTI
Studio Russo Wälti e Associati
Via Reno, 21
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