articolo di di Giuseppe Rusconi apparso sul Corriere del Ticino del 18 ottobre 2012.
E’ ormai l’Africa il continente che registra le maggiori persecuzioni contro i cristiani. In Asia esse non si attenuano e in Medio Oriente non c’è ‘primavera’ per i cristiani, che anzi temono di passare da dittature ‘laiche’ a regimi islamici connotati dall’applicazione della sharia. Nel mondo occidentale si sta diffondendo un clima spesso anti-cattolico cui è legato l’aumento di atti individuali o di gruppo contro simboli sacri. Aumenta d’altra parte nell’opinione pubblica europea (oltre che in alcuni governi) la consapevolezza dell’importanza della libertà religiosa come fattore di pace tra i popoli. Queste in sintesi le novità emerse nel “Rapporto 2012 sulla libertà religiosa nel mondo” presentato ieri a Roma presso la Stampa estera.
Nelle oltre cinquecento pagine del volume (giunto all’XI edizione) la fondazione pontificia “Aiuto alla Chiesa che soffre” presenta – riferendosi al grado di libertà religiosa, che riguarda non solo i cristiani – la situazione in 196 Paesi con gli aggiornamenti registrati negli ultimi due anni.
E’ comprensibile che nell’indagine si evidenzi in primo luogo la problematicità dei rapporti tra Islam e cristianesimo, nel concreto spesso connotati dalla violenza. Con questo non si vuole tacere che in Paesi come l’India sono i nazionalisti indù a colpire gruppi cristiani (170 attacchi gravi e di media entità nel solo 2011).
Riguardo alla penetrazione islamica in Africa, essa si pone oggi sotto il segno dell’arabizzazione nella mentalità e nei costumi dei musulmani africani. Si sa delle continue violenze in Nigeria e in Kenya ad opera di gruppi islamici legati ai salafiti (galassia di Al Quaeda) che vogliono imporre con la forza la legge coranica. La situazione però è tutt’altro che tranquilla in diversi altri Stati africani, di cui poco si parla. Il Mali soffre per le conseguenze del golpe del marzo scorso, mentre nel Nord si registra un tentativo secessionista: il gruppo islamico Ansar al Din vorrebbe imporre la sharia a tutto il Paese e ha già dato il via a violenze anticristiane. In Tanzania giungono predicatori e guerriglieri islamici provenienti dallo Zanzibar, dall’Arabia saudita e dal Sudan: in un Paese che è cristiano per oltre il 50% (i musulmani sono il 31%) i nuovi venuti chiedono con forza l’applicazione della sharia e incitano alla guerra santa. Tra i primi risultati un forte aumento delle scuole coraniche e del numero di donne e ragazze velate.
Esemplare per conoscere i modi diversi con cui si persegue l’islamizzazione di un Paese è il caso del Madagascar, che non è un Paese musulmano (i cristiani sono il 48%, i musulmani il 2%) ma che quasi incredibilmente rischia di diventarlo. Quali gli elementi della strategia islamica? Il ritorno in forze – soprattutto dai Paesi islamici e in particolare dall’Arabia Saudita – dei borsisti andati all’estero nell’ultimo decennio per migliorare la loro formazione: ritornano preparati, colti, fanatici. E si inseriscono nei migliori posti amministrativi dello Stato, con le conseguenze che si possono immaginare. Altro elemento della strategia: le infiltrazioni islamiche clandestine. In alcune provincie, al di là del dato complessivo nazionale, i musulmani sono già minoranza consistente. Qui si nota un fenomeno ricorrente anche in altri Paesi africani. Fino a quando restano piccola minoranza, sono gentili; accrescendosi sensibilmente nel numero, tendono ad assumere atteggiamenti padronali. In tal caso, purtroppo, per i cristiani il cielo si fa nero.