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Ringraziamo Maria Grazia Baccolo che con Caffè Dunant nr. 577 del 31 Marzo 2020 ci rammenta questo significativo brano estratto dal quinto capitolo delle “Memorie” di Henry Dunant.

“Ho descritto le sofferenze di cui sono stato testimone, ma io non sono né un saggio né un medico, sono un semplice cittadino. La vista degli orrori di questo grande campo di battaglia, su quale io rimasi fino al 30 giugno 1859 mi ispirò l’ardente desiderio di vedere in futuro le vittime della guerra essere riconosciute come sacre, senza distinzione di grado né di nazionalità. E come? Non ci pensavo in quel momento; avevo ben altre cose da fare. Ero rimato scioccato dallo spettacolo terribile che presentava la moltitudine dei feriti agonizzanti e senza soccorso.
Questo spettacolo dei feriti mi ispirò l’idea, dapprima vaga, ma possibile e urgente, dell’inviolabilità permanente dei feriti e di coloro che portano soccorso”.

[…], Dunant diceva: “ non voglio che i volontari soccorritori si espongano al pericolo di essere fatti prigionieri nel portare validi soccorsi ai feriti. Per questo mi sono preoccupato, dopo il 1859, di ricercare un “Principio Internazionale”, un Principio convenzionale e sacro” che una volta accettato e ratificato, servisse da base alle società permanenti. Per questo ho visitato vari paesi d’Europa e ho fatto circolare numerose pubblicazioni per la causa dell’umanità sofferente ho perorato ovunque”.

….Dunant dimostrò una grande forza e un’abilità che gli proveniva dal cuore. Questo era il segreto della sua forza. Il pensatore si fece apostolo itinerante, il letterato si sforzò di diventare diplomatico…natura entusiasta ed impulsiva, generoso e prodigo, perseverante fino alla testardaggine.
[…] ma fu soprattutto il cuore che lo fece riuscire così meravigliosamente nella sua impresa umanitaria, alla quale si votò senza ripensamento… […] Un’assenza completa di egoismo lo ha portato a sacrificare i suoi interessi personali ed a vedere nient’altro che l’intento umanitario e la sua organizzazione.

Continua ancora Dunant: “ Scrivendo silenziosamente il Souvenir de Solferino, ero come sollevato al di fuori di me […], il mio lavoro come strumento della volontà di Dio, per arrivare a compiere un’opera santa, destinata nell’avvenire a degli sviluppi infiniti per l’umanità. Con questo sentimento ero come obbligato ad andare avanti.
[…] Non dimenticai di rivolgermi alle donne… bisognava che tutto fosse scritto… ciò che avevo visto con i miei occhi doveva essere narrato ad altri perché l’idea umanitaria che mi entusiasmava si sviluppasse e si nutrisse della sua stessa forza….