Ada Negri
Gli Adolescenti – seconda parte
Tutta pronta nel succinto costume da passeggio, tutta fine e magretta dal piede calzato di camoscio nero alle trecce chiuse nel piccolo elmo di paglia blu, ornato di due alette candide, Antonella, nel corridoio, volse la testa per non incontrare gli occhi di Janna, la cameriera: che passava in quel momento rasente il muro, -Aveva notato da un pezzo che tutti i servi hanno la stessa faccia, quando i padroni litigano: faccia da schiaffi, compunta, soddisfatta, ed avida del peggio.
La sedia in sala da pranzo era stata rimessa al posto. Un odore dolciastro d’acqua di melissa ondeggiava nell’aria. La fanciulla si chinò sul volto della madre, abbandonata in una poltrona; baciò la fronte, sbarrata di sbieco da una ciocca grigia.
Che tristezza, per Antonella, quella ciocca resa grigia non dall’età ma dalla sofferenza, quella bocca contratta, quelle chiuse palpebre violette, quell’infinita stanchezza materna!…
Ma dalla chiara fronte, dalla chiara voce, l’emozione non trasparì.
-Mamma, mammina, come ti senti adesso?.. Meglio?… Riposati, quietati. Dovresti farti una ragione, ormai!… Aspetta: ti metto un cuscino dietro la testa. Io vado da Nellie, lo sai, nevvero?… per quel sunto di storia e quel famoso ricamo che non finisce mai. Rimarrò da lei a colazione: lo sai, nevvero?… Oggi è vacanza …
La madre non sollevò nemmeno il capo. Era piena del proprio spasimo, non capiva altro. Gli occhi le si dischiusero un istante, atoni nelle orbite scavate dalla passione, enormi nel piccolo volto ancor giovine malgrado i solchi.
-Si, cara – accennò con le labbra.
E Antonella partì dalla casa come chi fugge da un sotterraneo dove si muoia d’asfissia. Evitò ancora, nell’anticamera, lo sguardo di Janna che le apriva la porta, ma Janna non ne fu sorpresa, né malcontenta. Ella s’era accorta che la giovanetta sedicenne intuiva e penetrava cose che a quell’età passano generalmente inosservate. E quel limpido ma acuto viso era specchio nel quale non amava mirarsi la creatura viperina, che, destramente rigirandosi fra la violenta sensualità del padrone e l’orgoglio della padrona chiusa in un rancore esasperato, approfittava dell’anarchia dissolvente quella famiglia per raggiungere, nell’ombra, un suo scopo.
A mezzo della strada alberata salente lungo della collina, Petruccio, che pedalava vertiginosamente, si arrestò di botto sul passaggio di Antonella.
Il bel ragazzone bruno e muscoloso, dal sorriso brillante, dalle spalle quadre, scivolò dalla bicicletta, mise la mano al grigio berretto a visiera, e subito la stese alla fanciulla.
Erano rossi tutti e due, d’un rosso acceso di papaveri fra il grano. Poi divennero pallidi. E non dissero niente. Si, la solita, l’eterna parola si dissero, cogli occhi. E seguitarono il cammino, lei tormentando il manico dell’ombrello, lui tirandosi dietro la bicicletta come un buon cane pel collare.
Intorno era silenzio: il quieto silenzio dei giardini dello Zürichberg, che pare soffochino sotto la lussureggiante verzura le villette troppo piccole, vestite di piante rampicanti.
I peri e i peschi avevan finito di fiorire ma i cotogni, più tardivi, eran tutti una nuvola bianca e rosea, e continuavano in terra l’aspetto del cielo, velato di nubi leggere, moventisi, sovrapponentisi in taciti cumuli. – Uno scoppio di vegetazione, una pletora di linfe. Terrazze chiuse da vetri colorati, coperte di glicini dai fittissimi grappoli, d’un viola quasi grigio: alberi di serenelle, carichi più di fiori che di fronde, in un’armonia delicata di ametista, di lillà, di bianco latteo: biancospini, azalee, e le piogge d’oro dei citisti, a trabocco dalle basse cancellate dei parchi: e verde, verde, verde di tutte le sfumature, solo interrotto dai solchi delle stradette uguali, perdute l’una nell’altra, a somiglianza dei viali d’un labirinto.
Nella sua veste primaverile Zurigo, dove Antonella era nata da genitori italiani, dove Petruccio aveva conosciuta la sua “Gioietta”, diceva ai due bellissimi adolescenti: Si, si, avete ragione d’esser giovani e di volervi bene.
(Fine seconda parte)