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Ada Negri

Gli Adolescentiterza parte

La prima a trovar parola fu Antonella.

-Peccato che i peri non abbian più fiori, adesso!.. – (E le tremava la voce, quasi davvero fosse un gran lutto per lei, che i peri non avessero più fiori.) – Te ne ricordi, che meraviglia, due settimane fa?.. Neve: neve odorosa …

-Sì – rispose Petruccio. – Ma non son belli anche questi?.. Guarda, Gioietta.

E colse da un ramo di cotogno due o tre campanelline rosee.

Gli uccelli saltabeccavan sui loro passi, senza paura. Un passerotto faceva comodamente, ai loro piedi, il suo bagno di terra calda, tuffandosi con voluttà nella sabbia, scotendosela intorno col raspar della zampette e il frullar delle ali. Essi si sentiron simili a quegli uccelli, a quei petali di cotogno, perduti nella primavera. Non tanto però, che la realtà d’ogni giorno non li uncinasse, col duro artiglio.

Dietro le profumate nuvole dei fiori, dietro il turbamento del giovanissimo amore. Antonella intravide due devastati volti, riudì le voci fischianti a fionda; Petruccio ritrovò l’eco del pianto di sua madre – una pallida signora milanese, venuta da un anno a Zurigo col pretesto apparente d’avviare il figlio agli studi di ingegneria, col vero scopo d’ottenere la cittadinanza svizzera per divorziare dal marito, che, sul limitare della cinquantina, aveva perduto la testa per un’attrice del cinematografo.

Vibrarono, nel pensiero comune; e la comune sofferenza li serrò più vicini. Tanto, non passava un’anima: non vivevano, in giro, che i passeri e gli alberi.

-Ebbene, Gioietta, sempre malinconie, nella casa?…

-Sempre. E da te?…

-Sempre. Mamma scorre le sue giornate, oramai, negli uffici degli avvocati. Intento diventa magra, si affila, s’inasprisce, perde il sonno e la grazia. Quando è a stremo di forze si aggrappa a me, e geme sulla mia spalla: (io sono tanto più alto di lei!…) “Mi resti tu solo. Mi resti tu solo!..”

-Poveretta!..

-E’ da compiangere, si. Ma non potrebbe, invece di accanirsi nel rancore, considerar la follia, certo passeggera, di mio padre, come una malattia terribile dalla quale si esca o morti, o purificati?… E’ così difficile perdonare?.. Io dovrò lavorare, viaggiare, farmi una posizione, una famiglia. Non potrò sempre starle accanto. Che farà, quando rimarrà sola?…

-No, Petruccio. Forse non si può sempre perdonare. Forse si giunge, talvolta, al punto dopo il quale il perdono non è più possibile … Li vedi tu, mio padre e mia madre, in pace?… Ah, l’odio coniugale!.. E’ una cosa atroce. Una volta almeno avevano il pudore della mia presenza. Ma già un pezzo non mi sentono più, non ascoltano che il loro grido. Se l’un dei due non ammazza l’altro è perché non potrebbe continuare a vivere senza aver sotto le mani l’oggetto della sua demenza. Ma io non so aiutarli. Anche tu non sai aiutare la tua mamma. Io penso a te mentre si accapigliano: a te, a te, Petruccio! Disgraziati che sono!… Petruccio, bisogna salvarmi, bisogna che ci salviamo insieme …

Il consapevole visino pallido, levato supplichevolmente verso di lui, aveva tanta dolorosa grazia che il giovine ne tremò. La bicicletta fu appoggiata contro una siepe di biancospini: le mani si strinsero, gli occhi si bevvero.

-Ma noi ci sposeremo, non è vero?… quando io sarò ingegnere. E staremo sempre vicini, e ci vorremo un gran bene, e le cose tristi saranno dimenticate … Gioietta!

– Senti , Petruccio. Vorrei dirti una cosa che, se ci penso, mi fa male al cuore. Noi non amiamo, come dovremmo, nostro padre e nostra madre. Di chi è il torto? … Chi ha mancato? … noi, o loro?…

La risposta non venne. Era già scritta inappellabile nei cuori. Per proprio conto essi entravano nella vita, mettendo l’amara esperienza a servizio della propria felicità. L’esistenza era per loro. Era piena di fiori e di frutti. Tanto peggio per chi restava indietro, chi aveva sciupato l’amore, lasciato disseccare i rami, morir le radici, isterilire il campo.

Ella si mosse:

-Per carità.. E’ tardi. Nellie mi aspetta. Devo affrettarmi.

-Non ancora! .. non ancora! …

Avevan ripreso a camminare, lei, lui e la bicicletta, fra un aereo svolar di petali a un improvviso alzarsi del vento.

Si sussurravano, ora , piccole fanciullaggini senza nesso, senza senso comune. Tornavan bambini.

Intorno, tutto era appena nato. Un pettirosso li guardava, da un ramo di mandorlo. Un ragazzetto passò, col grembialino pieno di bacche vermiglie. Aromi a zaffate, d’una dolcezza amara, venivano dal traboccante rigoglio delle glicini. Da qualche nuvola, a capriccio, cadevan rade e intermittenti gocce d’acqua.

-Hai un cappellino nuovo. Ti sta bene.

-L’ho guarnito da me.

-Ci vai, domani, a scuola? … Io passerò alle sedici, tornando dal Politecnico. Aspettami.

-Mi fermerò un minuto sull’angolo di R mistrasse.

-Ma non ti mettere, sai, quell’orribile giacca sciolta color mattone, colla cintura bassa. Non voglio. E’ troppo ardita. Tutti ti guardano …

-Geloso! …

-Cattiva! …

-Tu, si, sei cattivo. Ne vuoi la prova? … Hai il labbro inferiore che sporge e i denti aguzzi, da gatto, troppo bianchi. Sei cattivo, sarai un marito violento, mi farai scenate tiranniche, ed io allora …

-E tu, allora? … Tu che cosa? .. Tu piangerai e mi amerai lo stesso. Hai capito? …

Le aveva afferrato il polso, l’aveva attirata a sé, ridendo ma dominandola col torace ampio, con lo sguardo appassionato. Si compresero, impallidirono, nella sùbita angoscia del ricordo familiare. Ebbero in quell’attimo coscienza che il loro fresco amore racchiudeva qualcosa di ben più grave dei capricci dell’adolescenza, nati e morti in un soffio: un bisogno d’armonia, prepotente come quello del pane e dell’acqua: un desiderio di avviticchiarsi alla creatura necessaria, di mantener sempre viva la fiamma, di sentirsi immuni dalla contaminazione della discordia che avvelenava le loro case.

-Adesso basta. Adesso va. Il villino di Nellie è a dieci minuti di distanza. Potrebbero vederti.

-Addio, mia piccola.

-Addio, mio signore.

Il dolce appellativo di antichi tempi cavallereschi sbocciò come un fiore sulle belle labbra gonfie di giovinezza.

Come un fiore. Come un bacio.

E Antonella si allontanò leggera all’ombra d’oro dei citisti, violacea delle serenelle; e Petruccio discese dall’opposto lato, sul suo rapido cavallo d’acciaio. L’animo d’entrambi era consolato: era una foglia nuova, che brillava al sole, ancor tutta intrisa di pioggia.

Fine