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La rubrica Antologia propone un viaggio letterario sulla Svizzera, la sua cultura, la sua natura e le sue istituzioni; una panoramica su come la Confederazione si racconta o è stata percepita e conosciuta al di fuori dei suoi confini e come lei stessa ha visto il mondo che la circondava. Di volta in volta un racconto, un estratto di un romanzo o di un saggio ci offriranno uno spaccato di queste visioni del mondo.

Questo racconto è tratto dal volume “Traditions et légendes de la Suisse romande”, una raccolta fiabe e leggende della Svizzera romanda edita da Daguet nel 1872 che raccoglie gli scritti di vari autori.

Leggende degli Ormonts: il Genio della Montagna

Gli abitanti di Les Ormonts traggono probabilmente origina da Château-d’Œx; conducono un’esistenza quasi nomade; invece di un territorio ben strutturato, possiedono solo appezzamenti di terreno, sparsi qua e là, e per utilizzare il foraggio raccolto, le famiglie sono costrette a spostarsi con il bestiame fino a sette o otto volte all’anno; così si possono contare quasi ventimila edifici in un’area molto piccola. A metà estate, una parte della popolazione si sposta negli alpeggi comuni, dove i pastori, con le loro abitudini semplici e modeste, vivono spesso rinserrati in piccoli e scomodi chalet. Percorrendo queste zone, si incontrano famiglie in viaggio durante la loro migrazione; spesso si tratta di una madre che porta una culla sulla testa, una grande brocca per il latte (boglie) sulle spalle, il lavoro a maglia in mano, eppure si arrampica sui sentieri più pericolosi con la leggerezza di un camoscio e il passo sicuro e deciso.

Queste popolazioni di montagna sono in perpetua lotta contro gli elementi: le valanghe, le frane, i torrenti e ruscelli, i lunghi e rigidi inverni, le nebbie fitte e frequenti, gli acquazzoni nel bel mezzo di un’estate già troppo breve, sono tutti elementi che assalgono costantemente i pastori, che però sono temprati dal duro lavoro e si accontentano, come uniche armi, di opporsi ai loro temibili nemici la pazienza, il coraggio e l’instancabile attività.

Il loro nutrimento consiste in formaggio, siero di latte, patate e carni salate. Una o due volte all’anno cuociono delle pagnotte grossolane che appendono al camino per facilitarne la conservazione; questo pane diventa duro come la pietra; per consumarlo, lo si deve spezzare a colpi d’ascia, lo si immerge sbriciolato nel latticello caldo e i pastori, con il cuore sempre allegro e contento, mangiano questo biscotto nero con più piacere e appetito di quanto ne provi il cittadino indifferente nel gustare i suoi piccoli e morbidi panini e la sua squisita panna. – Le loro greggi di pecore forniscono loro la lana con cui producono un tessuto grossolano, solitamente tinto di blu, e con questo tessuto confezionano abiti per entrambi i sessi, poiché nel loro costume le donne non si distinguono dagli uomini che per il cappello di feltro nero e rotondo che indossano sopra le loro cuffiette. – L’industria di questi montanari si limita all’agricoltura alpina, alla cura per la produzione di burro e formaggio, ai prati e all’allevamento del bestiame; seminano solo grano estivo, orzo e verdure, e piantano patate e qualche ortaggio nei loro piccoli orti. Maneggiano l’ascia con destrezza, come si può vedere dalle loro abitazioni ben costruite; del resto qui si praticano solo i mestieri di prima necessità, come fabbri, tessitori, sarti e calzolai; hanno anche ottimi armaioli. Gli abitanti di Les Ormonts sono audaci cacciatori di camosci ed eccellenti tiratori.

Secondo una leggenda locale, un giovane pastore lasciava spesso le greggi che gli erano state affidate per recarsi sulle rocce e sulle creste vicine per osservare la selvaggina e dedicarsi alla caccia, la sua passione preferita. I genitori lo ammonivano, ma lui non ascoltava né le loro preghiere né i loro rimproveri. Non si curava dei pericoli imminenti che lo minacciavano mentre vagava tra rocce e baratri spesso avvolti dalle nuvole. Una sera, al crepuscolo, si trovava a caccia in mezzo a terribili precipizi. Si scatenò un terribile temporale; i tuoni rullavano senza interruzione, lampi abbaglianti illuminavano solo di tanto in tanto questi luoghi pieni di un orrore tenebroso; torrenti di pioggia, accompagnati da chicchi di grandine, cadevano dal cielo e univano i loro rumori sinistri agli scoppi tumultuosi della tempesta. Il giovane pastore, non avendo più nessuna guida che gli ululati delle raffiche di vento che sibilavano dalle profondità delle terribili voragini, lasciò il sentiero conosciuto e perse la strada. Inzuppato fino alle ossa, tormentato da una fame divorante, tremante di freddo, si aggrappò esausto all’orlo di una roccia, e nel suo terrore credeva ogni momento che la sua ultima ora stesse per scoccare.

Un orribile schianto scuote improvvisamente fino alle fondamenta queste formidabili Alpi, che per secoli hanno sfidato gli elementi distruttivi, e poi all’improvviso il Genio della montagna, come trasportato nello spazio da un turbine di fuoco, appare davanti al pastore sopraffatto dal terrore. L’orrendo fantasma ghigna davanti ai suoi occhi e sembra volerlo inghiottire o scagliare nelle profondità dell’abisso. Poi, con voce più forte del tuono, grida: “Temerario, chi ti ha dato il permesso di dare la caccia così alle mie greggi? Chi ti ha dato il diritto e il potere di portarmi via la mia proprietà? Sono forse venuto per attaccare e tormentare il bestiame di tuo padre? E allora perché inseguire i miei pacifici camosci con tale furia criminale? Sono disposto a perdonarti solo per questa volta, ma non apparire più da queste parti, altrimenti… E senza finire, il minaccioso Genio scompare e con lui il terribile uragano, spazzato via dai venti. Il giovane pastore sembrò svegliarsi da un sogno terribile, afferrò il suo fucile, allafine riuscì a trovare il difficile e ripido sentiero che portava alla sua casa e, senza guardarsi indietro, si diresse verso la sua casetta il più velocemente possibile. Da quel giorno non lasciò più le sue mandrie e i camosci poterono pascolare liberamente sulle alture fino a quando la neve non li fece scendere e si rifugiarono nelle foreste sottostanti.